Nino
Manfredi: storia di un (altro) italiano
Ha ragione Aldo Bernardini a
scrivere - nella introduzione alla sua
bella biografia su Nino Manfredi (Gremese,
pp.228, L.45.000), recentemente apparsa in
libreria - che quella dell’attore
frusinate "è stata ed è una
personalità artistica così ricca e
poliedrica che è difficile inquadrarla in
uno schema che non sia riduttivo":
dal varietà alla radio, dalla televisione
al doppiaggio, dal cinema al palcoscenico,
non v’è quasi campo nel quale egli non
abbia avuto modo di eccellere, in virtù d’un
professionismo assai raro nello show
business nostrano.
Caparbio e metodico, certosino e
determinato, egli è attore che ha
pianificato con cura il proprio percorso:
non disdegnando un lungo, paziente
apprendistato, prendendosi il tempo
necessario per essere accettato ed amato
dal pubblico, vieppiù affinandosi nella
recitazione attraverso la frequentazione
dell’Accademia d’Arte Drammatica ed un
lungo tirocinio teatrale, a contatto con
autori come Cocteau o Goldoni, registi
quali Giorgio Strehler od Eduardo De
Filippo.
Nel corso della sua lunghissima carriera
egli ha affrontato i più diversi
personaggi, segnatamente nel cinema: dal
piccolo travet de "L’impiegato"
(1959) di Puccini al rappresentante
scambiato per gerarca in "Anni
ruggenti" (1962) di Zampa, dal
pubblicitario truffaldino di "Io la
conoscevo bene" (1965) di Pietrangeli
all’emigrante di "Pane e
cioccolata" (1974) di Brusati, dal
portantino idealista di "C’eravamo
tanto amati" (1974) di Scola al
venditore abusivo in "Cafè
express" (1979) di Loy, è tutto un
succedersi di magistrali caratterizzazioni
che vanno a comporre un ritratto d’italiano
di volta in volta sommesso o tagliente,
bonario o risentito, ilare od amaro.
A parte, le brillanti prove fornite anche
dietro la macchina da presa nell’episodio
"L’avventura di un soldato"
(in "L’amore difficile", 1962)
e nell’atipico "Per grazia
ricevuta" (1971): sorta di silente
minuetto il primo, diario agrodolce d’una
educazione cattolica in un paesino di
provincia il secondo, entrambi
dimostrazioni d’un talento capace di
rifulgere sempre e comunque. Di quelli,
per capirci, dei quali in seguito s’è -
purtroppo - perduto lo stampo.
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